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sabato 17 maggio 2014

Capire i bisogni attraverso l'insoddisfazione

Salve a tutti.

Vi voglio parlare di uno dei motivi, se non il motivo, che mi ha spinto ad aprire questo blog. Ebbene, cari amici che mi leggete, la causa prima che mi ha mosso nella direzione di dare vita a queste pagine è stata l'insoddisfazione.

Perciò ho piacere di scrivere oggi su questo argomento, sull'insoddisfazione.

Possiamo definire l'insoddisfazione come una forma di sentimento, di stato d'animo, di emozione, di una sensazione a volte indefinita a cui stentiamo a dare un nome preciso e altre volte invece sappiamo (o crediamo di sapere) la causa della nostra insoddisfazione. Alla voce insoddisfatto nel dizionario italiano leggiamo: che non è appagato o compensato quanto basta.

Quindi quando pensiamo o sentiamo o ci diciamo di essere insoddisfatti, ci stiamo implicitamente dicendo che non ci sentiamo appagati. In effetti l'insoddisfazione l'avvertiamo sotto forma di "mancanza", come qualcosa che non c'è, che ci manca ma che desideriamo averla.

Io desideravo avere un mio spazio pubblico dove condividere le mie esperienze e le mie ricerche nel campo del mio lavoro, il counseling per l'appunto, e il non averlo mi portava un senso di insoddisfazione, sentivo fortemente che questo spazio che ricercavo, mi mancava. Il mio sentirmi non appagato, non compensato, mi ha mosso verso la direzione giusta: quella di soddisfare il mio bisogno. E quindi aprire un blog dedicato alla pubblicazione di argomenti specifici del counseling.

Ecco, bisogno, questa è la parola che più di tutte incarna il senso del mio discorso e di cui ne rappresenta il centro. Possiamo quindi affermare che l'insoddisfazione nasce da un bisogno non soddisfatto.

Nel mio caso è stato facile passare da uno stato di insoddisfazione ad uno di appagamento per un motivo molto semplice: il bisogno che intendevo soddisfare era ben definito nella mia mente, mi era chiaro ciò che desideravo. Quando si conosce l'obiettivo che si intende raggiungere, quando il bisogno è chiaro allora anche le strategie da mettere in atto per raggiungerlo e soddisfarlo sono più facilmente individuabili.

Ci sono situazioni in cui non riusciamo a comprendere bene e a farci un'idea chiara e precisa della nostra insoddisfazione. Ci sono momenti in cui ci sentiamo insoddisfatti ma senza sapere perché. In questi casi viviamo un senso di insoddisfazione generale che non riusciamo a identificare. Dal punto di vista psicologico non ci è chiaro il bisogno, non sappiamo cosa vogliamo veramente.

Nei dialoghi quotidiani che intratteniamo con i nostri simili abbiamo la tendenza a discutere delle nostre insoddisfazioni. In effetti parlare delle nostre insoddisfazioni e lamentarci è un modo funzionante e psicologico per alleviare le nostre sofferenze, per alleggerirci dai nostri problemi. Questo modo di relazionarci con gli altri avviene in molti ambiti della nostra vita (familiare, lavorativa, sociale, ecc...) e i soggetti interessati hanno estrapolazioni culturali e sociali di tutte le tinte. Si lamenta la casalinga come l'impiegato bancario, l'operaio e il politico, insomma ognuno di noi ben conosce questa modo di stare un po meglio, che è poi quello di condividere le nostre insoddisfazioni, e che solo temporaneamente mitiga il nostro malessere.

L'insoddisfazione sociale che viene comunicata nei dialoghi con il prossimo è tipicamente un argomento di natura generale e che difficilmente può essere soddisfatta in quel momento (situazione socio-economica, ecologia, sicurezza, politica, ecc...) ma alla base, sotto, in forma nascosta, si muove, a livello psicologico, un bisogno reale. In effetti si parla di tante cose e di tutto per coprire i nostri veri bisogni, quelli che, nella maggioranza dei casi, sono per noi dei perfetti sconosciuti. Da qui a percepire poi il famoso senso di insoddisfazione il passo è breve.

In effetti si sta operando quella che noi counselor, in psicologia, chiamiamo proiezione sul mondo esterno di ciò che in realtà è nel nostro mondo interiore. Proiettare è un comportamento (entro certi limiti) funzionale e naturale appartenente alla mente ma, a lungo andare, ci impedisce di scoprire i nostri reali bisogni.

Il counseling, con le sue tecniche di riformulazione e di ascolto attivo, può facilmente farci scoprire cosa non abbiamo ancora soddisfatto nella nostra vita quando, ad esempio, sentiamo una certa insofferenza in determinate circostanze, come stare con un certo tipo di persone, o sottostare a certe regole, o dover operare date scelte e prendere certe decisioni, o fare un certo tipo di vita, o vivere in un certo ambiente, e così via.

Il counseling, in effetti, ci può aiutare a passare dal generale al particolare, a scendere dai luoghi comuni dei dialoghi sui massimi sistemi (la politica, le guerre, la chiesa, la sanità, ecc...) a ciò che ci tocca in maniera personale, ci aiuta a filtrare le tante cose di cui parliamo per isolare l'argomento, l'oggetto, che ci svela il nostro vero bisogno insoddisfatto.



Quello che che magari conosciamo ma non abbiamo il coraggio di dirlo neanche a noi stessi.

Chissà che da questa scoperta o rivelazione la nostra vita non prenda la giusta piega?


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